giovedì 1 maggio 2008

THYSSEN E MOSCATO


Quei giorni freddi e tristi di inizio Dicembre mi trovavo a Coimbra, nel tepore della mia stanza aperta su un bellissimo tramonto me ne stavo tutto pensieroso mentre la vita degli Erasmus e dei ragazzi portoghesi era scandita dalla parola festa. Per me nulla di tutto questo, non era il momento per pensare a divertirmi, cercavo di spiegare ai ragazzi della Republica in cui ero stato invitato a cena quella sera che nella mia città un bruttissimo incidente sul lavoro aveva ucciso vari ragazzi della mia età, ma sembrava che tutto dovesse continuare a scorrere senza questioni, nè un interesse verso un avvenimento di quella portata.

Così anche se quei ragazzi non li conoscevo, non li avevo mai visti, li sentivo in qualche modo vicini, sarà che so cosa vuol dire lavorare, pur avendo poca esperienza, in lavori che ti stancano il corpo e la testa, usare flessibili e macchinari che possono rovinarti la vita per una semplice distrazione, condividere un veloce pasto con chi si trova nelle tue stesse condizioni e poi di nuovo a ritrovarti con rumori assordanti nelle orecchie da lì a chissà che ora, con la voglia che arrivino le 18 del venerdì, il momento più elettrizzante e leggero della settimana lavorativa.

Sapere che una delle vittime, Giuseppe Demasi, mio coetaneo, era figlio di un'infermiera dello stesso ospedale dove lavora mia madre, è stato ancora di più un piccolo dolore.
Oggi, dopo aver parlato con Simo e Teo (amici della serie guaiachimelitocca) abbiamo deciso che avremmo dedicato le ore successive al corteo, che si snodava per le vie del centro cittadino, per andare alla fondazione Sandretto Re Rebaudengo a visitare la mostra "Chi muore al lavoro", 75 fotografie che ripercorrono l'inverno più triste che Torino ricordi, proprio per rendere in qualche modo il nostro omaggio non solo ai 7 della Thyssen, ma a tutti coloro che escono dal lavoro in un telo bianco.
Così, ci trovavamo all'interno del padiglione proprio nel momento che Bertinotti visitava la mostra, ebbene, fin qui nulla di strano, se non che la fondazione abbia "offerto" al bar che si trovava proprio davanti alle foto un momento di "degustazione" di vini, magari qualche buon Moscato. Peccato che la situazione mi lasciava del tutto basito, ma come? Bertinotti e staff dopo immagini del genere non trovano meglio da fare che banchettare (se pur il tutto organizzato dalla fondazione)??? Ho trovato il tutto di pessimo gusto, accentuato ancor di più dalla visita alla sezione "design" che lo stesso Fausto ha velocemente espletato, che esulava completamente il motivo della sua visita alla fondazione.
Sicuramente c'era modo e modo di presentare una mostra del genere, per lo più davanti a foto strazianti che mi hanno fatto veramente piangere, tanto erano profondi alcuni scatti.
Qui sotto trovate la registrazione audio dei momenti successivi alla tragedia, nella speranza che quelle urla (associabili proprio a Giuseppe Demasi) non abbandonino la nostra memoria storica e soprattutto nel pensiero che cose simili non accadano MAI PIU' in nessun angolo di questo pianeta.



1 commento:

Luca Bleek Sartirano ha detto...

Io dal giardino potevo vedere il fumo alzarsi nella notte...
Ma non immaginavo le voci... non ancora almeno.